SAPORI E SAPERI DI MALO
Il prodotto identificato da una DE.CO. (Denominazione Comunale) è patrimonio inimitabile di un territorio ben delimitato. E’ frutto di quella terra, di una ben specifica tradizione e di una particolare abilità.
La Denominazione Comunale non è un marchio di qualità, ma la carta d’identità di un prodotto, un’attestazione che lega in maniera anagrafica un prodotto o una produzione al luogo storico di origine.
Attraverso l’istituzione della DE.CO. ogni Comune, con una procedura amministrativa semplice, può conseguire importanti obiettivi in ambito economico, culturale e sociale, quali:
- la valorizzazione della produzione locale legata all’agroalimentare, all’enogastronomia, all’artigianato;
- la promozione del territorio attraverso le sue specificità produttive;
- la salvaguardia delle tradizioni e cultura locali relativamente al gusto e all’alimentazione.
AMARO (infuso di erbe, radici, foglie e frutta)
Malo ha una forte tradizione legata alla produzione di bevande alcoliche e medicinali e vanta ricette pressoché uniche nate dalla presenza nel territorio di particolari materie prime.
Quando le storiche aziende distillatrici maladensi passarono ad una produzione industriale che li stimolò a ricercare profumi e aromi inediti adatti al mercato, esse mantennero al contempo in uso le antiche ricette di cui erano depositarie, andando così a preservarle e a tramandarle intatte, e perfettamente ripetibili, fino ai giorni nostri. Gli ingredienti del nostro amaro sono pestati e/o triturati, quindi messi a macerare in una soluzione alcolica o idroalcolica.
Erbe, piante, radici e tempi di macerazione rappresentano i segreti di ogni amaro: variando la composizione degli ingredienti e i loro tempi di infusione, infatti, varia il gusto finale. Questo amaro contempla nella preparazione anche l’aggiunta di una grappa ottenuta da uve rosse, grappa che dal secolo scorso fa parte della storia e tradizione della nostra comunità.
CIOPA A MANO
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Quando il pane era la CIOPA non ne avanzava mai. Era, ed è, una ricetta faticosa da realizzare; un po’ di pasta del giorno prima, farina di Brodesco, sale e un po’ di strutto. Il lardo non mancava nelle case e ai forni dei contadini c’erano a volte anche i sossoli.
L’impasto era duro, ci si aiutava con la gramola, e tutti davano al pane la forma di una CIOPA a croce modellando le pastelle. Ogni contrada aveva il suo forno: da Broccardo Alessandro, da Ciscato Nicola, da Panizzon, da Crosara Elena, da Marchioro Luigi, da Spoladore Angelo, dai Colbacchini Domenico, Umberto, Arduino, Mario…, e tutti impastavano CIOPE mentre i forni a legna distribuivano un profumo intenso per le case.
Le botteghe del pane aprivano alle 5.30 e tutti ne conoscevano le commesse infaticabili e attente: la Argentina, la Ninela, la Lia, la Gemma , la Cisa, l’ Elena e la Marilena….
Andando ai ricordi d’infanzia, ognuno ha storie da raccontare. I ragazzi portavano a casa le sporte di pane e le mamme e i nonni custodivano le CIOPE con cura.
La CIOPA è ancora oggi uno dei pani più buoni. E’ sempre croccante e saporita, non viene mai buttata. Biscottata è speciale. E’ ricercata per la panà e i per i canederli; è nutriente, sazia, e non è indigesta. E’ nella storia del nostro pane.
DOLCE FRAGNUCOLO
La storia ci consegna il sapere relativo a un dolce de ‘sti ani preparato con antichi rituali. Le pagine dei libri di Pino Sbalchiero (La Storia della Pellagra del 1979 e Volta el musso del 1997) ne sono testimonianza: Fragnùcolo, dolce dei poveri, usato anche per sostituire il pane e la polenta d'inverno.
E' composto essenzialmente di farina gialla e poca farina bianca, nonché di uva, fichi secchi e sale. Si cuoce nei forni avvolto nei scartossi (da Volta el Musso) sfruttando il residuo calore dopo la levata del pane.
Mi ricordo, scrive Sbalchiero, di immensi róssi di uva appassita (tralci d'uva clinto; allora sostituiva lo zucchero e la si metteva con dei fichi secchi nell'impasto prima che venisse domato dentro la mesa del màs’cio). ‘Sti ani, inoltre, i Fragnùcoli cotti erano ripartiti tra i componenti della famiglia e dovevano bastare il più possibile. Dopo qualche settimana però diventavano duri e si rischiava facessero la muffa. Allora venivano dati tutti ai ragazzi, dotati di mascelle d'acciaio.
C’è chi ricorda a Vallugana di Isola Vicentina i Fragnucoli avvolti a cuocere nelle foje de visela.
La ricetta del Fragnùcolo conservata nel nostro Comune è quella, tramandata fino ad oggi, del dolce cucinato per decenni nel forno a Fondomuri (S. Tomio di Malo) da Bepi Scarparo, dolce avvolto e cotto sulla VERZA (sono evidentissimi i profili lasciati dalla verza sul fondo).
IL DURELLO DI MALO
Il vitigno Durella, da cui origina il vino Durello, è autoctono dei Monti Lessini e di tutta la fascia collinare tra Verona e Vicenza, che ha caratteristiche ambientali simili.
E’ una vite antica (presente già nel Medioevo, citata nello Statuto della Comunità di Custozza - Verona del 1292) e rustica, diffusasi ampiamente nel vicentino dal 1700.
Essa ha trovato a Malo un’area con condizioni podoclimatiche (microclima, natura geologica vulcanica e collocazione geografica) atte ad accentuare la sua naturale vigoria e la sua tipica resistenza alle malattie. La zona vulcanica di Malo comprende le colline e arriva fino al piccolo colle del Montecio: nella striscia di pianura qui compresa, che immette poi alla Priabona, si trovano i vigneti di Durella. Storicamente si trovavano anche verso S.Tomio: testimonianze orali riferiscono di vigneti sul Monte Palazzo (1961) e in Vallugana.
Il Durello di Malo ha una spuma fine e persistente, colore giallo paglierino con riflessi verdognoli. Il profumo è vinoso, delicato e leggermente fruttato, con sentori di mela verde, minerali, con ricordi marini di iodio, freschezza e acidità spiccate. Il sapore è piacevole, acidulo, vinoso e armonico.
Il nome evidenzia due caratteristiche dell’uva: la buccia spessa dell’acino e il suo sapore aspro, duro appunto. Pare ci fosse anche un detto riferito al Durello: “Vino duro per gente dura”.
RISOTTO DI QUAGLIA
L’allevamento intensivo della quaglia prende avvio a Malo negli anni sessanta.
Alcuni lungimiranti maladensi, visto il successo che in quel periodo stavano ottenendo gli allevatori di polli, ebbero l’intuizione e il coraggio di diversificare la produzione. Probabilmente i primi e rudimentali allevamenti casalinghi furono avviati per fornire animali da cacciare in occasione di gare venatorie. Giuseppe Bortolotto (Bepi Ciopa) iniziò lavorando da Fancon in via Muzzana, dove c’erano le incubatrici per la cova delle uova. In seguito allevò in casa le quaglie che serviva nella sua osteria.
Nel 1960 Bepi Ciopa aveva l'Enal al Ponte Nuovo, dove faceva matrimoni e cene e accoglieva gli operai che uscivano dalle fornase e si ritrovavano per un giro de goti. Nel 1963 avviò un allevamento di quaglie e da quel momento elaborò il famoso risotto custodendone gelosamente la ricetta
LA SOPRESSA DI MALO
La macellazione del maiale é un rito antico legato a un mondo ormai quasi in via d’estinzione, strettamente unito alla terra e ai suoi frutti, mondo che segue il ritmo naturale del tempo e delle stagioni.
Nella cultura contadina l’uccisione del maiale assumeva un valore simbolico ed era un momento di sentita aggregazione sociale. Questo rito ha tenuto insieme i maladensi almeno fino agli anni 80. Generazioni intere di mas’ciari (i Menoi, i Palanca, Fracasso ), con anche 120 macellazioni annuali personali, hanno varcato le porte della nostra comunità.
Saladi, luaneghe,sopresse, pansete, coessini sono sulle tavole dei maladensi da sempre; ma quando la lavorazione delle carni salate è passata al semi-industriale e il mas’ciaro ha dovuto deporre i ferri del mestiere, la tradizione non è andata perduta. Essa vive ancora “appesa” ne le stanghe de le caneve con la sapienza di sempre.
La sopressa di Malo DE.CO. osserva scrupolosamente il disciplinare di produzione depositato.